Nei n.14-15, 16-17 e 18 di “Proposta Radicale” abbiamo pubblicato le prime tre parti della relazione del dottor Guido Salvini sulla vicenda Moro, consulente della seconda inchiesta parlamentare. È una relazione praticamente inedita, se ne è parlato pochissimo; leggendola, se ne possono intuire i motivi. È un testo interessante con diverse novità in un tentativo per la prima volta di una ricostruzione tecnica che cerca di superare quello che si sapeva senza essere dietrologica. Di seguito la quarta parte.
Anche la ricostruzione della fuga da via Fani e del trasbordo dell’onorevole Moro su un mezzo sicuro ha incontrato serie difficoltà ricostruttive che non sono state affrontate e risolte nemmeno dalle sentenze. Tuttavia, nonostante la frammentarietà dei dati disponibili sembra possibile ricostruire almeno in termini probabilistici quanto avvenuto nei momenti immediatamente successivi all’agguato di via Fani e lungo il tragitto di fuga per via Stresa – via Trionfale – via Belli – via Casale De Bustis – via Massimi. Innanzitutto, quanto al parco macchine di cui disponevano le BR nell’imminenza del sequestro, la pentita Emilia Libera, compagna di Savasta e componente delle Brigate Universitarie ma non della Colonna, nei suoi interrogatori (59) ha riferito che prima del sequestro Moro era stata data indicazione dalla Colonna romana alle Brigate di gestire 10 mezzi; un numero superiore a quelli che di norma la colonna movimentava e metteva a disposizione. Si tratta comunque di un contingente superiore a quelli visti in via Fani, e tra questi 10, figurava un furgone e un’autofurgonata. Secondo il memoriale Morucci questo sarebbe lo schema delle autovetture disponibili e dei soggetti che erano a bordo durante la fuga:
– la Fiat 132 blu con Moretti, Fiore e Seghetti (più Moro);
– la Fiat 128 blu con Morucci, Bonisoli e Balzerani;
– la Fiat 128 bianca con Lojacono, Casimirri e Gallinari;
– la Fiat 128 giardinetta tg. CD di Moretti (abbandonata in via Fani);
– una A 112 verdina parcheggiata in via Stresa citata da Valerio Morucci nel memoriale, da utilizzare in una situazione di estrema emergenza (60);
– una Dyane azzurra in attesa in via Massimi, su cui sarebbero saliti Seghetti e Morucci, dopo il trasbordo in piazza Madonna del Cenacolo, per scortare il furgone con il sequestrato;
– il furgone 850 chiaro su cui è stato caricato (come si vedrà, ad un certo punto del tragitto di fuga) l’on. Moro;
– la Renault 4 rossa (61) all’interno della quale fu trovato il corpo dell’onorevole Moro al termine dell’intero periodo in cui fu tenuto in cattività.
Ma in più vi doveva essere un secondo furgone, in consonanza con le dichiarazioni di Emilia Libera e visto dal testimone dr. Ernesto Focà. Probabilmente è il furgoncino chiaro poi collocatosi in via Bitossi (62). Vi doveva poi essere un’altra Fiat 128, forse bianca, di appoggio al furgone anch’essa vista dal teste Ernesto Focà. È poi da tenere in considerazione che certamente durante la fuga vi è stata la sosta in via Massimi, provata anche da due circostanze obiettive:
– le infiorescenze e i residui di cardi incastrati nello sportello anteriore destro e nel cofano della Fiat 132, che potevano essere trattenuti solo in via Massimi, dato che questa strada era costellata di cespugli e all’epoca si poteva definire quasi di campagna;
– una donna poco prima delle 9.23 (63) in via Licinio Calvo era scesa dalla Fiat 132 ed era stata vista dalla teste Maria Perugini. L’orario e la presenza della donna sono confermati dall’immediata segnalazione dell’auto civetta, Squalo 4, comandata dall’appuntato Mammoliti, segnalazione subito appuntata nel brogliaccio della Sala operativa.
Sicuramente la Fiat 132, al momento della partenza da via Fani, non aveva donne a bordo. Se la donna che è scesa in via Licinio Calvo è la Balzerani, allora la brigatista ha cambiato posto durante la sosta. Anche se si fosse trattato di un’altra donna che si era aggiunta in seguito al commando (64), comunque ciò presuppone una sosta che non può che essere avvenuta in via Massimi e doveva essere motivata da qualcosa di decisivo da fare.
Comunque, sulla scena il 16 marzo si sono mossi due furgoni nella disponibilità delle BR: il primo con ogni probabilità in attesa in via Massimi, nel punto della sosta per farvi salire l’onorevole Moro sino all’arrivo alla base; il secondo proveniente con ogni probabilità dalla zona di via Fani e poi collocato in via Bitossi per mettere in sicurezza le borse con le armi lunghe utilizzate durante l’azione (65). Questo secondo furgone non può essere quello utilizzato per il trasporto di Moro perché, diversamente da quanto afferma Morucci – e cioè di esservi salito e di averlo subito condotto in piazza Madonna del Cenacolo – ciò non è avvenuto. Lo conferma, come tra poco si dirà, la testimone oculare Elsa Maria Stocco. Le operazioni successive alla prima fase della fuga da via Fani potrebbero essere ricostruite con questi passaggi:
– è molto probabile che il furgone su cui era destinato ad essere caricato il prigioniero si trovasse sin dalla prima mattina, con un brigatista a bordo, nella zona di via Massimi in un punto riparato e boscoso poco visibile (66), oppure in un garage. Questo per una più prudente e razionale gestione del rischio; – entrano per primi in via Casale De Bustis – via Massimi il furgoncino chiaro e la Fiat 128 bianca di appoggio visti da Ernesto Focà. Si ricordi, al riguardo, che Focà, nel corso del dibattimento tenutosi nel 1982, ha precisato che tale avvistamento è avvenuto intorno alle ore 8.30 (67) e di aver visto due uomini con una tuta bianca (come quella che indossano i dipendenti dell’ACEA) aprire, verosimilmente tranciando la catenella che bloccava la sbarra, limitante l’accesso alla via privata De Bustis, per poi richiuderla. Questa condotta dei brigatisti è del tutto logica dal punto di vista operativo, perché in tal modo veniva eliminato un rallentamento per coloro che sarebbero seguiti e che potevano così procedere velocemente;
– di seguito entra in via Belli – via Casale De Bustis il convoglio delle tre vetture proveniente da via Fani visto dalle testi Iole Dordoni in via Belli e poi Anna De Luca in via Casale de Bustis, intorno alle ore 9.15.
Dall’insieme delle dichiarazioni di Dordoni e di De Luca (68), emerge che il convoglio era entrato in via Belli – via Casale De Bustis senza difficoltà, in velocità e a catenella di chiusura già tranciata e che una donna – con ogni probabilità Barbara Balzerani – era comunque scesa da una delle Fiat 128 per rimettere a posto in qualche modo la sbarra. Tale comportamento è del tutto logico perché aumentava il livello di sicurezza nella zona in cui doveva avvenire il trasbordo dell’ostaggio, un momento certamente da considerare di massima vulnerabilità da parte dei rapitori.
A questo punto il quadro ricostruttivo si complica non poco. Morucci infatti, nel proprio memoriale, ha affermato che del convoglio era entrata a far parte in via Massimi anche una Dyane azzurra (69) e, all’angolo con via Bitossi, egli stesso è sceso da una Fiat 128 alla cui guida aveva lasciato Bonisoli. Morucci avrebbe quindi raggiunto il furgone chiaro (a bordo del quale non c’era nessun altro) e con questo avrebbe raggiunto, in piazza Madonna del Cenacolo, la Fiat 132 e la Dyane. Su quel furgone sarebbe avvenuto il trasbordo del prigioniero che era stato chiuso in una cassa. Ma tutto questo appare del tutto improbabile. In via Bitossi si trovava in quel momento Elsa Maria Stocco che abitava al civico 26 e stava rientrando in casa. La testimone ha dichiarato il 17 marzo 1978 di aver visto un’auto blu di grossa cilindrata («ministeriale») arrivare in velocità, fermarsi davanti alla sua abitazione non lontano dall’angolo tra via Massimi e via Bitossi e affiancarsi ad un furgone chiaro. Dall’auto era sceso un giovane vestito da pilota civile con un impermeabile blu (70) che aveva gettato in successione due borse (71) sul furgone lì parcheggiato alla cui guida vi era un giovane. I due non si erano nemmeno scambiati parola, in particolare il giovane alla guida del furgone era rimasto impassibile. Il giovane che aveva consegnato le borse era poi risalito sull’auto ed era partito in velocità percorrendo via Bernardini e anche il furgone aveva seguito la stessa strada procedendo tuttavia ad andatura normale. La testimone colloca la scena da lei vista in un lasso di tempo che va dalle 9.20 alle 9.25 della mattina del 16 marzo, e cioè alcuni minuti prima aver sentito, una volta rientrata in casa, dal telegiornale la notizia del rapimento dell’on. Moro.
La testimone oculare Stocco non ha visto alcun convoglio, né alcuna altra persona sull’auto blu con la quale era giunto l’aviere. D’altro canto, il furgone chiaro di via Bitossi si è allontanato senza fretta, non era ricercato e non aveva certo bisogno di farsi notare. Di sicuro quindi non aveva alcun appuntamento in piazza Madonna del Cenacolo o altrove per effettuare il trasbordo dell’on. Moro. Si stava semplicemente «ritirando» dalla scena con le armi lunghe che non potevano essere abbandonate sulla Fiat 132.
Ora, quasi tutta l’attività di ricerca sui fatti del 16 marzo tende a rilevare una insanabile contraddizione tra la testimonianza di Elsa Maria Stocco ed il fatto che la Fiat 132 sarebbe stata segnalata, come si è accennato, dalla Polizia in via Licinio Calvo alle 9.23. Forse è così ma comunque tutto si gioca sul filo dei minuti. La testimone Stocco può aver visto la vettura dinanzi alla sua abitazione anche tre o quattro minuti prima delle 9.20, poiché tra via Bitossi e via Licinio Calvo ci sono meno di 900 metri percorribili in brevissimo tempo, in una zona di periferia senza molto traffico; dunque, è reale la possibilità di arrivare in via Licinio Calvo appena prima dell’intervento della Polizia (72). Peraltro, il «lancio» delle due borse sul furgone è stato fulmineo – il tempo di pochi secondi – e se lo spostamento del prigioniero era già avvenuto in via Massimi, non vi era bisogno, prima di giungere in via Licinio Calvo, di effettuare la deviazione in piazza Madonna del Cenacolo e di affrontare l’operazione, non proprio breve, che comportava spostare il presidente Moro dalla vettura e collocarlo nel furgone, protetto in una cassa.
La ricostruzione che si ipotizza quindi non può essere certa, ma si è appena mostrato come fosse possibile. Se il trasbordo è avvenuto in via Massimi (73), questo cancella l’appuntamento di piazza Madonna del Cenacolo, ribadito da Moretti e Morucci, e il conseguente secondo cambio di mezzo nel parcheggio sotterraneo della Standa di via dei Colli Portuensi, con il supporto della AMI 8 di Laura Braghetti (74). Forse tutto questo incide anche sulla veridicità dell’ipotesi di via Montalcini come possibile luogo di detenzione.
Certo, non potrebbe escludersi che la vettura blu vista dalla Stocco non fosse una Fiat 132, ma una Fiat 128, anche se quest’ultima non è di grossa cilindrata. Va ribadito, comunque, che ad una testimone così importante come Elsa Stocco, che avrebbe assistito al decisivo passaggio in via Bitossi di due borsoni da un’autovettura ad un furgone, ancorché fosse persona certamente poco pratica di autovetture, non sono state mostrate né dalla Polizia giudiziaria, né dai magistrati inquirenti fotografie dei vari modelli del possibile avvistamento. Non furono, cioè, esibite fotografie della Fiat 132, della Fiat 128 e dei vari tipi di furgoni, al fine di individuare con il maggior grado possibile di certezza quale mezzi ella avesse davvero visto.
Tuttavia, anche se la testimone oculare Stocco avesse visto una Fiat 128, la versione contenuta nel memoriale Morucci non corrisponderebbe comunque al vero. Infatti, la Stocco non ha visto l’aviere salire sul furgone (e quindi in ipotesi dirigersi con questo mezzo verso piazza Madonna del Cenacolo), bensì ella lo ha notato ritornare alla propria auto, mentre il furgone si era allontanato lentamente con a bordo l’altro giovane che si trovava sin dall’inizio sul mezzo e la cui identità è stata tenuta da Morucci nascosta.
In questo passaggio del proprio memoriale, Morucci non pretende nemmeno di essere creduto. Infatti, in ogni azione di rilievo ciascun mezzo potenzialmente utilizzabile doveva essere attentamente custodito. Mario Moretti nella sua intervista alle giornaliste Mosca e Rossanda racconta, ed è il primo a farlo, che la Renault 4, al cui interno sarebbe stato poi trovato il corpo di Moro, era presente anche il 16 marzo lungo la via di fuga in quanto poteva essere utilizzata in caso di emergenza. Tale vettura sarebbe stata custodita da Rita Algranati e forse dal suo fidanzato Alessio Casimirri che provenivano da via Fani (75). Perché quindi Valerio Morucci nel suo memoriale avrebbe mentito?
Qualche dubbio avrebbe potuto essere chiarito da Franco Bonisoli che, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2022, ha affermato, seppur confusamente, di essersi trovato durante la fuga prima come passeggero di una vettura e poi alla guida di un’altra e che, insieme con lui c’erano due uomini o forse un uomo e una donna. Ma tutto è rimasto, come tra poco si dirà, in una sorta di nebbia confusa.
Tornando al possibile trasbordo dell’onorevole Moro in via Massimi è certo molto indicativo che tutto intorno si trovasse una zona assolutamente poco urbanizzata e quindi molto favorevole ad un’operazione di tal genere. All’epoca, via Casale de Bustis era poco più di un sentiero di campagna con intorno zone boscose e cespugli da cui certamente dovevano essersi staccate le infiorescenze che si erano poi attaccate alla Fiat 132, mentre alle spalle di via Massimi vi erano terreni in costruzione e i vasti spazi che circondavano l’ateneo americano Loyola University Chicago Center. Tra l’altro, l’effettuazione dello spostamento del prigioniero in quella zona avrebbe avuto il vantaggio di far guadagnare minuti preziosi. A quel punto, infatti, l’onorevole Moro si sarebbe già trovato all’interno di un mezzo non ricercato senza che i rapitori dovessero quindi raggiungere, con una vettura già segnalata e mentre le vetture della Polizia sfrecciavano in tutta la zona, piazza Madonna del Cenacolo prima e via Licinio Calvo poi (76). In conclusione, le versioni fornite dai brigatisti in merito alle modalità della fuga da via Fani e al doppio trasbordo dell’onorevole Moro prima in piazza Madonna del Cenacolo e poi nel parcheggio sotterraneo della Standa di Colli Portuensi, non sembrano corrispondere al vero (77) e possono nascondere una parte dell’operazione, quella avvenuta in via Massimi.
Tale elusione non può essere motivata solo dall’intento di tacere il merito ad alcuni dei partecipi all’azione poiché la vera modalità della fuga poteva essere raccontata senza rivelare il nome dei presenti. L’elusione potrebbe piuttosto essere stata imposta da alcune verità da non rivelare che riguardano, riprendendo le conclusioni della seconda Commissione Moro, il luogo di via Massimi e quanto sarebbe avvenuto intorno ad esso. Inoltre, proprio mentre era in corso l’attività di approfondimento di questa Commissione, emergeva, probabilmente per mera coincidenza temporale, da uno scritto di uno storico di «parte brigatista», Paolo Persichetti, l’esistenza di un secondo furgone nella disponibilità delle Brigate Rosse per l’operazione del 16 marzo. Infatti, Paolo Persichetti nel pamphlet La Polizia della storia. La fabbrica delle fake news nell’affaire Moro (78), scritto soprattutto in risposta al sequestro del suo archivio sulle Brigate Rosse da parte della Procura di Roma, ha spiegato incidentalmente che l’organizzazione di cui egli stesso aveva fatto parte, disponeva per l’operazione del 16 marzo di due furgoni: uno quello sul quale sarebbe avvenuto il trasbordo del prigioniero in piazza Madonna del Cenacolo, e un secondo, una Fiat 238 tenuto di riserva per un eventuale secondo trasbordo, non resosi poi necessario, e che quindi sarebbe rimasto inutilizzato. Tale ultimo furgone sarebbe rimasto parcheggiato la mattina del 16 marzo lungo la via di fuga, in zona Valle Aurelia, e poi spostato da Alvaro Loiacono in zona Prati. L’esistenza del secondo furgone, di cui nessuno aveva mai parlato in precedenza (79), è quindi certa ma la circostanza del suo mancato utilizzo proviene solo, e anche in forma impersonale, dal racconto dei brigatisti in contatto con Persichetti.
È un esempio, come in altri casi, di una logica di verità a rate. Inoltre, tale furgone, come il primo e come anche alcuni degli altri mezzi utilizzati il 16 marzo, non è mai stato rinvenuto impedendo anche la verifica di possibili tracce. La sua presenza sulla scena dell’operazione, ancorché non utilmente impiegato, comunque costituisce certamente un ulteriore elemento che va nella direzione della ricostruzione qui esposta.
(4. Continua)
NOTE
59 Si veda l’udienza dibattimentale nel processo Moro, tenutasi il 5 maggio 1982. Anche Antonio Savasta ha parlato di più macchine furgonate acquisite prima del sequestro. Si veda l’udienza dibattimentale nel processo Moro tenutasi il 17 maggio 1982.
60 Tale auto è stata rinvenuta, aperta, dai Carabinieri lo stesso 16 marzo in via Stresa, a circa 50 metri dall’incrocio con via Fani.
61 Questa vettura, tristemente famosa, era presente comunque anche durante l’azione del 16 marzo.
62 Si noti che, nei verbali, i due testimoni usano indifferentemente i termini furgoncino o autofurgonata, probabilmente a causa dalla tecnica di redazione degli atti da parte degli operanti e senza che siano state chieste loro più precise descrizioni. Anche tale circostanza non ha certo migliorato la comprensione degli avvenimenti.
63 Ciò si determina nel momento in cui il brogliaccio della Sala operativa annota il rinvenimento della Fiat 132 in via Licinio Calvo ad opera dell’equipaggio Squalo 4.
64 Si può, ad esempio, immaginare che fosse rimasta in attesa in via Massimi a guardia del furgone e della Dyane in seguito guidata da Seghetti, due mezzi che non potevano certo restare incustoditi. Il pensiero va ovviamente ad Adriana Faranda che era uno dei pochi regolari della Colonna romana e che non vi era ragione di non impiegare in un’azione di tali proporzioni. Del resto, era già coinvolta nel sequestro Moro, in particolare nell’operazione di via Fani in seconda linea in quanto aveva acquistato le divise da aviere e fatto alcuni sopralluoghi. Poteva quindi essere presente in via Massimi a guardia o alla guida di uno dei mezzi. Nelle sue dichiarazioni, Patrizio Peci ha dichiarato, del resto, di aver saputo da Raffaele Fiore che il 16 marzo la Faranda aveva «guidato male». Anche Emilia Libera ha confermato di aver appreso da Valerio Morucci che la Faranda era presente e aveva guidato una macchina e la sua presenza è confermata del pari da Antonio Savasta.
65 Un furgone è stato infatti visto muoversi in via Fani nel momento dei fatti. Probabilmente è il furgoncino chiaro che la testimone Anna Destito Valentini (deposizione del 16 marzo 1978 e del 4 novembre 1978) ha visto aggirarsi all’angolo tra via Stresa e via Sangemini, quando vi erano già gli avieri. Il mezzo può aver avuto il compito di consegnare a questi ultimi le borse con le armi e il giovane con il viso affilato che ne era alla guida è compatibile con la fisionomia di Lauro Azzolini. Questi, alla guida del medesimo furgoncino poi spostatosi in via Bitossi, può essersi occupato sia di consegnare sia di ritirare la dotazione utilizzata nel corso dell’azione di assalto. Anche Anna Giacovazzo, sentita dalla Polizia giudiziaria il 6 aprile 1978, aveva notato all’incrocio tra via Stresa e via Fani, il drappello dei quattro piloti, che ha anche ben descritto; quasi contemporaneamente la stessa testimone oculare ha potuto vedere un furgone bianco, forse un Ford Transit, che si stava muovendo come se fosse collegato a qualcosa che stava accadendo nell’area di movimento del mezzo.
66 Le fotografie dell’epoca mostrano l’aspetto della zona di via Casale de Bustis come del tutto idonea allo spostamento di un sequestrato. Infatti, si nota sia una folta boscaglia che l’aperta campagna che fa da sfondo all’area.
67 Nel corso dell’audizione, svoltasi in data 21 novembre 1978 dinanzi al Giudice Istruttore Imposimato, il testimone aveva tuttavia indicato come orario dell’avvistamento quello delle ore 9.05-9.10 che comunque rimane compatibile con l’ingresso nella zona dei due mezzi con precedenza rispetto al convoglio dei tre ulteriori veicoli (132 blu + 128 blu + 128 bianco) che provenivano da via Fani.
68 Sul punto, cfr. le dichiarazioni di Iole Dordoni al Giudice istruttore rese il 22 gennaio 1979 e quelle di Anna De Luca avanti il Giudice Istruttore il 9 ottobre 1978; in questo senso comunque sono orientate le dichiarazioni rese da entrambe le donne alla Polizia, nell’immediatezza dei fatti, lo stesso 16 marzo 1978.
69 Di cui Seghetti si sarebbe posto alla guida.
70 Ma senza indossare alcun berretto, ha precisato la testimone.
71 Si tratterebbe di una valigia 24 ore e di un borsone. Le borse viste dalla testimone Stocco sono identiche a quelle notate dal testimone avvocato Feliciano Serrao, in via Fani in mano agli avieri (dichiarazioni anch’esse rese il 16 marzo 1978).
72 … e anche di far salire, ad esempio in via Serranti, altri brigatisti come Raffaele Fiore che da via Licinio Calvo doveva raggiungere la Stazione ferroviaria.
73 Quanto avvenuto in via Massimi potrebbe essere completato dalla collocazione del quarto brigatista, visto a bordo della Fiat 132 dai testimoni Buttazzo e Intrevado, sul furgone insieme a Moretti. In tal modo, a seguire la logica organizzativa dei rapitori, vi sarebbe stato un soggetto in più rispetto all’autista nel caso fosse necessario neutralizzare eventuali reazioni del prigioniero. In ipotesi, il genovese Riccardo Dura che aveva anche una elevata preparazione militare (cfr. nt. n. 47).
74 D’altro canto, i due trasbordi, nella ricostruzione offerta da parte brigatista, hanno sempre dato luogo a notevoli perplessità. Non solo, infatti, il furgone di via Bitossi non è stato ritrovato, ma neanche la Dyane né il furgone asseritamente rimasto nel parcheggio della Standa sono stati rinvenuti. E ciò, pur trattandosi di un parcheggio pubblico in cui, se abbandonato, un mezzo avrebbe pur dovuto essere individuato e rimosso. È poi molto strano che sia in via Casale De Bustis sia in via Licinio Calvo, i movimenti dei brigatisti siano stati notati, mentre nessuno abbia scorto alcuna traccia della loro presenza in piazza Madonna del Cenacolo, così come del resto del tutto inosservato sarebbe passato anche il loro transito nel parcheggio della Standa. Tra l’altro, la Citroen AMI 8 di Laura Braghetti, sulla quale sarebbe stato caricato il presidente Moro, non è una grossa vettura e la cassa, con i sedili posteriori ribaltati per farla entrare, poteva essere ben visibile. Le contraddizioni delle versioni fornite dai diversi brigatisti, in merito alle modalità degli arrivi e dell’incontro al parcheggio della Standa sono poi numerose e confermano che tale incontro potrebbe non essere mai avvenuto. Inoltre, non avrebbe avuto senso spostare la Fiat 132 da piazza Madonna del Cenacolo a via Licinio Calvo percorrendo altri 700 metri, quando già le forze di Polizia erano in allarme; i brigatisti avrebbero dovuto così affrontare ulteriori rischi, senza che se ne spieghi bene la ragione. Sarebbe stato infatti sufficiente abbandonare l’automobile sul posto. In generale, non solo uno ma ben due trasbordi all’aperto e in vicinanza di persone, sarebbero stati estremamente pericolosi in quanto il prigioniero poteva quantomeno urlare, farsi notare e reagire. In ogni caso dei due trasbordi, se si escludono le parole dei brigatisti, non vi è il minimo riscontro concreto.
75 Si veda, in proposto, Sergio Flamigni Delitto Moro: la grande menzogna, cit. pp. 113-115. Casimirri non è mai stato catturato; è poi divenuto cittadino del Nicaragua ed è protetto ancora oggi dal regime sandinista.
76 Vi è poi una notazione di carattere politico – militare che, sul piano logico, può essere rilevante. Sia che l’autovettura vista in via Bitossi fosse una Fiat 132 sia che fosse una Fiat 128, la consegna delle armi lunghe comportava che la prima fase del sequestro fosse conclusa e che non fosse più prospettabile uno scontro cruento. Infatti, se il convoglio fosse stato intercettato dalle forze dell’ordine con ancora a bordo di una delle vetture il prigioniero, ne sarebbe nato certamente uno scontro violento in cui era necessario disporre delle armi lunghe, con la reazione e forse l’uccisione di tutti i brigatisti, ma certamente anche di quella di Moro, poiché il suo «salvataggio» avrebbe inferto un danno decisivo all’immagine dell’azione del 16 marzo. Non ci sarebbe stata di certo nessuna resa. Quindi la dismissione delle armi lunghe in via Bitossi sta quasi certamente a significare che in quel momento l’ostaggio era già fuori portata, trasferito su un mezzo non ricercato o in un luogo sicuro, quale una base o un garage nella zona.
77 È davvero inspiegabile che sia Moretti sia Morucci sia gli altri brigatisti nei loro racconti mostrino di non ricordare bene o di confondere passaggi essenziali di quello che nella loro vita è stato certamente un evento unico, preceduto da una lunga e analitica preparazione e che risaliva a non molti anni prima. Tale inverosimile incertezza di ricordi raggiunge il suo apice allorché essi descrivono sia le presenze nel parcheggio della Standa di Colli Portuensi, sia l’arrivo dei brigatisti con Moro in via Montalcini, sia le modalità dell’omicidio nel box, eventi che hanno segnato la loro vita. Tuttavia, in merito a queste drammatiche vicende, i brigatisti forniscono, insieme alla Braghetti e a Maccari, cinque versioni diverse; si tratta proprio di cinque ricostruzioni diverse rese da quattro individui, perché la Braghetti ha addirittura modificato la propria originaria versione fornendo progressioni dichiarative e aggiustamenti anche significativi. Si veda sul punto, senza rievocare qui tutte le diverse versioni, la disamina analitica che si legge in Sergio Flamigni Delitto Moro: la grande menzogna, cit., pp. 124-126.
78 Lo scritto è stato pubblicato per i tipi di Edizioni Derive Approdi, 2022. Si vedano, in particolare, le pp. 69 e 76. L’adesione ancora attuale di Paolo Persichetti, condannato per concorso nell’omicidio del generale Licio Giorgieri, al pensiero brigatista si comprende ad esempio dal linguaggio politico-militare usato nei suoi scritti: ad esempio, il tono epico ed enfatico con il quale celebra le gesta dei 10 brigatisti «Due donne e otto uomini, la più giovane aveva vent’anni» che il 16 marzo «erano tutti usciti all’alba dalle loro case, avevano raggiunto il luogo convenuto in auto, in vespa o con i mezzi pubblici, traversando la città» e «hanno cambiato la storia del Paese» (La Polizia della storia. La fabbrica delle fake news nell’affaire Moro, cit, pp.67-71).
79 Al dato del furgone non rende cenno neanche Valerio Morucci, nel suo memoriale.
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